"Una esperienza della quale non si può non parlare"


Finalmente, dopo tanto immaginare, discutere, confrontarsi, polemizzare, cercare possibili soluzioni, prepararsi, questi Esami di stato hanno avuto inizio in una condizione di "presenza" che, a tratti appare surreale, svelando, in alcuni momenti, una quasi impercettibile nota di tragi-comico.

Dopo poco più di tre mesi di didattica a distanza rivedo, uno dopo l'altro, tutti gli studenti della mia quinta classe. All'apparenza sembrano gli stessi: il consueto modo di legare i capelli, l'abbigliamento che contraddistingue lo stile di ognuno di loro, stessi zaini, stessi occhiali, stesso telefono cellulare fra le mani.

Certo, all'apparenza.

Arrivano e diligentemente appongono la firma sul foglio di presenza preparato dalla segreteria, mettono sul banco la relazione PCTO, una copia dell'elaborato di indirizzo e, su invito del Presidente di Commissione, si tolgono la mascherina per poter respirare e parlare meglio durante il colloquio. Il più diligente ha portato con sé la penna personale, il più distratto ha dimenticato a casa il documento di riconoscimento. Poco male: riconoscerei ognuno di loro fra mille giovani adolescenti.

Si tuffano nella situazione e nel momento e, dopo un ultimo respiro profondo, quasi dovessero scendere in apnea nel profondo più profondo degli oceani, entrano nel magico mondo delle parole, dei concetti appresi dai libri di testo e delle informazioni raccolte sulla rete.

All'apparenza sembrano i ragazzi di sempre.

Certo, all'apparenza.

Basta superare la soglia dell'evento e, con sguardo curioso ed animo da Sherlock Holmes, farsi largo fra il non detto e la spessa cortina delle emozioni. Solo allora tutto appare più chiaro.

Pur ritrovandosi nella stessa scuola che li ha ospitati per cinque anni, fra i muri di quelle aule che hanno imparato a custodire i piccoli e grandi segreti della loro splendida età lasciano intravedere nel fondo dei loro occhi un sottile e quasi impercettibile straniamento; un disorientamento del cuore dinanzi ad un evento che non hanno avuto la possibilità di immaginare insieme, sul quale non hanno avuto il tempo necessario e le condizioni indispensabili per fantasticare mescolando ansie e paure con l'euforia di un viaggio nuovo che di qui a pochissimo, sta per cominciare portandoli lontano, ognuno nella propria direzione.

Un'emozione grande quale quella degli esami di maturità va pregustata e nell'attesa del suo svolgersi, va sognata e raccontata. Questi ragazzi hanno dovuto rinunciare a tutto questo e, nel silenzio emozionale delle proprie stanzette, hanno vissuto in completa solitudine la magia e l'inquietudine di una sagoma che stentava a divenire figura.

Al virus ed al conseguente lock down siamo stati bravi a trovare un possibile rimedio per le loro menti, sostenendoli nella preparazione disciplinare necessaria ad affrontare gli esami finali, inventandoci strumenti e metodologie alternative a quelli della didattica in presenza, ma non abbiamo potuto aiutarli a scoprire la formula più efficace per il coraggio e la determinazione, per la fiducia in loro stessi, per l'intraprendenza dell'anima e la gioia che soltanto la soddisfazione di aver portato a termine un tratto del cammino può generare. Per tutto ciò è necessaria l'affettuosa vicinanza che il Covid-19 ha impedito.

Il sorriso spensierato di alcuni si è trasformato in un atteggiamento di maggiore responsabilità ed io penso a chissà quali riflessioni hanno fatto loro da compagno di banco in questi ultimi tre mesi della loro vita. Le chiacchiere in corridoio, le corse giù per le scale al suono della campana, le incursioni nelle aule degli amici di sempre e di quelli scoperti da poco, le lacrime per un compito in classe che non è andato come sperato, i messaggi sul cellulare da leggere in bagno, il nuovo progetto per la cui partecipazione è necessaria l'autorizzazione dei genitori, la scelta dell'abito adatto per la festa dei diciotto anni e la giustifica per l'ultima assenza che, come spesso capita, è stata dimenticata a casa. Tutto questo è stato loro negato negli ultimi tre mesi.

E allora li guardo e provo un misto di tenerezza e dispiacere perchè tutto ciò testé elencato ha un valore inestimabile: è ricchezza del cuore, è fondamentale quanto le spiegazioni, le attività, le esercitazioni, l'impegno, la motivazione allo studio. La scuola non può ridursi al libro di testo o ad una interrogazione di letteratura inglese; la scuola è socializzazione, è crescita emozionale condivisa, è un rimprovero che si chiude con una pacca sulla spalla, è uno sguardo che rassicura, è una mano che si tende.

Il colloquio procede fra una espressione non proprio corretta, una parola pronunciata male, una pausa, una rincorsa, un arrampicarsi, un guizzo originale, una intuizione critica, un paragone fra l'autore dell'epoca e la propria storia, fra il personaggio di un libro e la propria vita.

Qualcuno si tocca nervosamente il ciuffo che ricade indisciplinato sugli occhi, un altro spinge in su gli occhiali che stanno per scivolare lungo il naso. Qualcuno beve un sorso d'acqua, un altro tossisce nervoso nella speranza che quel concetto rimasto chissà dove gli ritorni in mente per poter continuare il discorso.

Comincio a chiedermi dove saranno fra qualche anno. All'università o in cerca di un lavoro? In Italia o in uno dei paesi che hanno imparato a conoscere attraverso i media o i viaggi studio del quinquennio.

Cosa ricorderanno di una giornata come questa? Certo per tutti gli studenti gli esami di maturità hanno un posto particolare nei propri ricordi, ma questi esami ne avranno uno ancora più grande.

Così surreali, a tratti tragi-comici, intrisi di sincera speranza che la vita di tutti noi possa tornare al più presto alla normalità, così carichi di emozioni contrastanti che le parole comuni non bastano per poterli descrivere.

Così diversi da quello che sono sempre stati.

Giulia Calfapietro